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    Alastor Carrow

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    “La fortuna bussa una volta, ma la sfortuna ha molta pazienza.”

    Avevo letto da qualche parte quelle parole, o forse le avevo sentite nominare da qualcuno della combriccola, in seguito al mio disastro. Avevo sempre taciuto i miei sentimenti e le mie volontà, ma ogni qual volta provassi ad esprimerli ad alta voce, avevo sempre avuto l’intero mondo magico contro. Le uniche persone in grado di comprendermi erano i purosangue di cui mi ero accerchiato. Nobili stirpi, nobili famiglie, che credevano fermamente nella supremazia sui babbani. Era cominciato tutto per scherzo. Il nostro era un circolo che si riuniva per trattare di “nobiltà”. Tutte le società ne avevano una e a noi toccava il compito di esserlo per i maghi e le streghe di Londra. Per lo più avevamo sempre discusso di politica e cultura, ma solo da pochi anni avevamo iniziato ad agire in gran segreto. Piccoli casi alla volta, piccoli dilemmi mezzosangue risolti in pochissimo tempo. Ovviamente nessuno era stato beccato. Gli Auror non avrebbero mai sospettato di noi. Eppure, qui cadevano in fallo. Avevo imparato sin da piccolo a non fidarmi mai di nessuno, alle volte neanche degli amici più cari. Insomma, ce la stavamo cavando alla grande e nessuno era stato in grado di fermarci fino a quel momento. Fino a quando le nostre vite non erano state invase dalla peggiore sfortuna esistente. Il primo Ministro Tomas Svensson aveva avuto la brillante idea di accettare un’idea di legge che prevedeva la quasi estinzione dei purosangue dal consiglio più importante del ministero, ovvero il Wizengamot. Era una follia, una vera e propria follia. Onestamente, mi ero fatto un culo tanto, per poterci entrare. Mia moglie Angelica mi aveva aiutato con calma e premura ad ottenere quella carica e per me era stata davvero una grande soddisfazione. Invece, ora mi stava per esser portata via l’ennesimo trionfo ottenuto. Ci eravamo riuniti in gran segreto nei sotterranei di Nocturn Alley, nella nostra base segreta, per discuterne. Erano state delle serate stancanti e ogni qual volta tornavo a casa mi mancava puntualmente la voce. Eravamo agguerriti come non mai. Persino la presenza di un ratto, attirato dalle candele galleggianti, aveva fatto saltare i nervi del giovane “boia” Connor Macnair. Quel roditore era saltato in aria dopo esser stato colpito da un raggio di luce verde ed era planato al suolo, attirando l’attenzione di tutti i presenti. Stavamo valutando tutte le opzioni possibili, per riuscire ad ottenere una vittoria, per riuscire a cancellare quell’insulsa proposta. Nessuno come noi, meritava un posto in quel consiglio. Le famiglie purosangue erano la storia del mondo magico. Non esisteva niente di più antico e onorevole e quell’orfano ignorante di Tomas Svensson non sapeva neanche quello che stava facendo. Non aveva mai fatto nulla di rimarchevole, nulla che potesse classificarlo come un buono, un decente primo Ministro. Era stato eletto perché aveva promesso tante cose, c’era bisogno di un nuovo volto, magari uno giovane e audace e le persone si erano lasciate convincere da quel suo dolce sorrisetto. E invece, era solo uno stupido, un enorme faccia di culo. Così, prima di correre il rischio, avevo interpellato per l’ultima volta gli altri mangiamorte, che chissà perché mi avevano eletto come loro capo, e avevo proposto una conversazione a quattr’occhi con l’”illustre” ministro. Una sera di dicembre l’avevo incontrato in un locale nella capitale e avevamo parlato prima amichevolmente e poi sempre più animatamente della situazione. Lui non aveva intenzione di cambiare opinione, così come la mia era immutata. Forse, non avrei mai alzato le mani se non avesse menzionato il nome della mia defunta moglie. Erano passati tanti anni e anche se il dolore si era affievolito, la rabbia, quel senso di vendetta contro la sua sfacciataggine e l’incoerenza delle sue parole, mi aveva fatto infuriare come non mai. Ci eravamo allontanati dal luogo, ma i discorsi si erano tramutati in atti e lo scontro era stato cruento. Avevo lasciato un Tom morente sull’orlo del marciapiede. Lunghi rivoli di sangue gli coprivano il volto, così come le grosse macchie gli impregnavano la camicia di flanella. Io avevo uno occhio gonfio e scuro. Mi ero autoconvinto di averlo ucciso, di averlo fatto fuori finalmente. L’indomani, però, scoprii che ciò non era così. Era entrato in coma e la situazione era critica, ma poteva esserci una possibilità di guarigione. UNA STRAMALEDETTA POSSIBITA’ DI GUARIGIONE. Andai su tutte le furie. Il mio studio si trasformò in un campo minato. Mia figlia Lilian si preoccupò a tal punto da prepararmi tè e camomille ad ogni ora. Mandai all’avanscoperta Eleanor Crouch nell’ufficio del padre e non seppe dirmi molto. Gli Auror ora proteggevano quell’uomo notte e giorno. Continuamente. Ce n’erano sempre due davanti alla sua porta o nel corridoio. Avevo controllato fingendo di dover fare delle analisi. Mi ci era voluto un intero mese per mettere in atto un piano decente. Un intero mese o forse di più, per decidere come muoverci, per imparare i turni delle guardie, per capire come entrare al San Mungo senza far scattare subito l’ allarme. E quella sarebbe stata la sera perfetta. La sera in cui la fortuna sarebbe tornata a girare dalla mia parte.
    Si, sono fuori con dei colleghi…non ti preoccupare non faremo tardi. Passa una buona serata…ok, buona notte Lilian
    Staccai la conversazione telefonica con mia figlia. Da un po’ di tempo a quella parte ringraziavo il fatto che avesse deciso di abitare al campus. Mi risparmiava le continue scuse per le uscite o il malumore. La giovane e mingherlina Eleanor Crouch mi si fece vicina e sorrise, come per prendermi in giro. Avevo accettato quella ragazza nella cerchia solo perché sua madre mi aveva scongiurato.

    Coraggio muoviti !

    Le dissi, spingendola per un braccio verso gli altri. Mi guardò in malo mado, ma poco mi importava. Non era il momento di scherzare sui famigliari.

    E’ ora di andare. Siete tutti pronti ?

    Un coro di si mi rispose all’unisono e sempre insieme ci smaterializzammo dinanzi ad un vecchio magazzino di manichini. Avevano le forme più strane e deformi al mondo. Da piccolo ne ero rimasto ammagliato. Non sembravano solo modelli d’arte, ma fonte di ispirazione per una trasformazione genetica. Io entrai dalla hall principale e gli altri si divisero. Alcuni attesero dei minuti prima di fare il loro ingresso, altri presero le entrate laterali. All’interno era tutto così diverso. Lunghi corridoi bianchi si diramavano da destra e sinistra, mentre dinanzi a me c’era una strega seduta su un tavolino con una divisa verde lime. Avrebbe voluto aiutarmi ma sollevai la bacchetta e la pietrificai. Sbirciai a destra e sinistra e nessuno si era accorto di niente, almeno per il momento. Superai il reparto di incidenti da manufatti e presi le scale e superai il primo e secondo piano. Fu solo quando arrivai al terzo che scattò un allarme.Era micidiale, mi stonava. Era come l’urlo di una mandragola. I miei fidati mangiamorte avevano iniziato a combinar casini. Nessuno avrebbe dovuto seguirmi. La questione Tomas Svensson era mia, solamente mia. Con un tocco di bacchetta il mio abito mutò. Avevo una lunga tunica color pece e una maschera a forma di scheletro. Un’infermiera scese velocemente le scale e quando mi vide iniziò ad urlare come una matta. Si avventò contro di me, stranamente, e mi fece barcollare . Non mi voleva lasciar passare. Era alquanto irritante.

    Avada Kedavra

    Il suo corpo scivolò al suolo e lo calpestai continuando il tragitto. Al terzo piano c’era un buco enorme nella porta, segno di una lotta. Al quarto, invece, i pazienti correvano avanti e indietro. Alcuni schivarono degli schiantesimi, altri invece furono colpiti e crollarono di botto. I due Auror dinanzi alla porta del primo ministro sembravano aspettarmi. Uno aveva il mantello lacerato. L’altro era sporco di bianco. Un pezzo di muro sopra la sua testa era sbriciolato in tanti piccoli pezzi ai suoi piedi. Non avevo paura di loro. Portai il braccio dietro la testa, mi piegai di poco sulle ginocchia e iniziai ad evocare le maledizioni senza perdono. Troppe andarono a vuoto, ma solo tre riuscirono nel loro intento. Due colpirono gli auror e una, invece, andò a segno su un medimago. Aveva uno sguardo quasi coraggioso dipinto sul viso. Gli occhi azzurri gli brillavano, come se stesse per compiere una grande impresa. Tuttavia era troppo tardi. Ero stato più scaltro, più veloce, più deciso nei miei atti. Quello sguardo di vittoria gli rimase impresso sul volto, anche quando superai il suo cadavere. Peccato, era davvero un bell'uomo. Alto, possente. Sembrava un attore. Mentre alcuni dei miei continuavano la battaglia infondo al corridoio, raggiunsi la tanto agognata stanza.Vi entrai come una volpe e un sorriso sardonico apparve sul mio visto. Ce l'avevo fatta, avrei spezzato l'esistenza dell'uomo più inutile al mondo. Mi avvicinai al lettino e osservai la figura semivivente. Il coma era una grande seccatura. Bisognava solo starsene lì ad aspettare e il più delle volte finiva male. Quindi lo avrei aiutato nel suo passaggio. Mi bagnai le labbra con la saliva e incollai la punta del bastoncino al suo collo.

    Avada Kedavra

    Si illuminò di verde e si irrigidì. Il macchinario del battito cardiaco si arrestò e segnò il decesso.


    Edited by dafuck! - 12/3/2016, 14:52
     
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